Caro direttore, premetto che sono d’accordo a dialogare con chiunque abbia veramente voglia di farlo. Lo dico non per vantarmi, ma il sottoscritto andava anche nella sede anarchica di Via Montesanto a Napoli nel 1976 per parlare di e contro l’aborto. Con gli anarchici si poteva, e si può, parlare e dialogare. Non è possibile, invece, alcun dialogo con chi afferma che «non esiste nulla di giusto e di sbagliato» e «la coscienza è ciò che ti diceva tua madre prima che tu avessi sei anni» (Brock Chisholm), che non esiste né alto né basso, né sopra né sotto e l’unica cosa che conta è il fine che ha in testa punto e basta e non si vergogna di ricorrere a menzogne e attacchi di ogni genere pur di demolire l’interlocutore per far sì che tutto quello che dice non sia credibile. Visto che si sta parlando di aborto, come non ricordare negli anni 70 le menzogne dei 3 milioni di aborti all’anno e delle 20mila donne, morte ogni anno per aborto, mentre le donne in età feconda (dai 14 ai 49 anni) che morivano, e per le più diverse cause, in quegli anni erano in tutto 15mila? Voglio ricordare a tutti che fine fece l’appello dei nostri vescovi, a giudicare secondo ciò che «è giusto o sbagliato» la vicenda di Buttiglione, escluso dalla Commissione Barroso nel 2004, per la sua concezione dell’omosessualità! Se c’è qualcuno in grado di dialogare, senza che siano ricordate le Crociate o l’Inquisizione, con coloro che pretendono, attraverso l’«educazione sessuale obbligatoria», d’insegnare ai bambini dell’asilo, usando anche la forza, se necessaria, contro i genitori contrari, «la masturbazione infantile precoce» o di confonderli nella loro identità sessuale attraverso la ‘teoria del gender’, che si faccia avanti! Se non si può dialogare con costoro, come bisogna agire? Lasciarli fare o contrastarli in qualche modo per il bene dei nostri figli e della società? In nome del dialogo si è arrivati all’assurdo non solo di contrastare chi cerca di fare qualcosa per contrastare le perniciosissime lobby, che in questi ultimi anni hanno devastato la vita e la famiglia, ma addirittura a mettere la museruola, il bavaglio a tutti gli ultimi Pontefici! Che fine hanno fatto le grida d’allarme, lanciate contro «l’oggettiva congiura contro la vita» da Giovanni Paolo II, contro «le lobby antifamiglia» e «la dittatura del relativismo» (Benedetto XVI)? E quanto vengono ascoltate e amplificate le parole di Francesco, attuale e amato nostro Papa, contro le «colonizzazioni ideologiche», contro lo «sbaglio della mente del gender»? Non si può invocare il dialogo per fare i «cani muti», quasi un alibi, un pretesto per non lottare e magari ferirsi. Cordiali saluti. Mario Romanelli, Laurito (Sa)
Mi ha incuriosito il suo cenno a fruttuosi e davvero vitali confronti con gli anarchici, gentile signor Romanelli. Ne ho avuti anch’io, di sorprendenti. Ma queste belle esperienze non ci esentano certamente dal dare ragione della nostra speranza con tutti gli altri possibili interlocutori. E, non per ultimi, con coloro che sono stati battezzati nella nostra stessa fede, persino… quando sono dei politici. La politica resta, secondo l’insegnamento della Chiesa, l’impegno più bello per un cittadino appassionato del bene comune, ma oggi è anche uno dei ‘mestieri’ più vituperati. Basta scorrere le cronache per verificarlo. Già, le cronache. In effetti non danno spesso voce al Papa, chiunque egli sia, quando dice cose scomode. Papa Francesco non fa eccezione, come ha ricordato con efficacia il cardinal Bagnasco nell’ultima assemblea della Cei. Ma le risulta che l’attuale Papa o anche soltanto uno dei suoi grandi predecessori si sia scoraggiato per questo e la sua voce abbia perso profondità, serenità e forza? Voci libere e attente, come quella di ‘Avvenire’, cercano di non essere da meno. Cerchiamo, cioè, di essere all’altezza di un timbro limpido ed esemplare, e dello stile evangelico che non è mai cupamente e duramente quello della trincea, ma – come dico spesso – quello del campo aperto anche se questo costa (e a volte espone a essere presi alle spalle anche dal ‘fuoco amico’, o presunto tale). Cerchiamo di essere coerenti col modello che ci viene proposto. So, perché l’ho sperimentato, attraversando anni diversamente duri (e diversamente belli), che i cristiani riescono sempre a pensare le loro ‘battaglie’ come gesto d’amore e come dialogo, e non concepiscono mai il dialogo come una ‘guerra’. So che non si arrendono e non si demotivano per quelle che agli occhi del mondo sono sconfitte, perché Cristo ci ha dimostrato che neanche la più grande e ignominiosa sconfitta è definitiva. So che non chiudono gli occhi sulle storture e non abbandonano la speranza di convertire il male in bene. Anche al tempo dell’individualismo assoluto e, dunque, della vertigine autoreferenziale che viene racchiusa nel concetto di ‘gender’. E poi – penso che anche lei possa confermarmelo, caro signor Romanelli – so che nessuno cambia opinione a strilli, schiaffi e sputi, mentre questo presto o tardi succede – eccome, se succede – davanti alla verità di un’esistenza sofferente o maltrattata, al cospetto della bellezza della vita accolta, servita e amata, di fronte alla generosità di chi si cura delle ferite degli altri e non solo delle proprie. C’è chi non ascolta, c’è chi disprezza e c’è chi inveisce? Lo vediamo. E non ce ne lasciamo sgomentare. Ecco perché, gentile amico lettore, non ho mai visto i veri cercatori di dialogo, soprattutto tra noi cattolici (impegnati in politica o meno), scegliere l’insignificanza e farsi «muti». Ma di una cosa continuo a essere certo: i cristiani si fanno riconoscere e attraggono al Vangelo e a una (anche laica) capacità di composizione delle differenze per come vivono dando ragione della propria speranza, per come pensano e operano e non per come sbraitano. Grazie per la sua amicizia e la sua passione, ricambio il cordiale saluto.
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-campo-aperto-meglio-della-trincea-lo-stile-del-confronto-anche-se-costa